rosaandlawrence

View the Project on GitHub katarinarankovic/rosaandlawrence

rosaandlawrence

video

You are invited to assist two fictional lovers in their ambition to become autonomous agents. To donate your own reading, follow these three steps:

  1. View the script below and select your preferred reading language
  2. Record yourself reading the script aloud with a friend
  3. Upload your reading to social media using #rosaandlawrence, where instances of the lovers are archived

Rosa and Lawrence were written by Katarina Rankovic on 3 October 2015

If you would like to contribute a new translation, please contact Katarina


EnglishItalianoLietuvisSrpski

Una Resuscitazione Rituale di Amanti Eterni

scarica qui

Traduzione di Alberto Condotta

Uno di voi è Rosa, uno di voi è Lawrence. Non avete mai letto questo testo. Sedete uno di fronte all’altro, con in mano questo copione. Mettetevi a vostro agio. Quando vi sembra il momento giusto, cominciate a leggere nel modo e alla velocità che preferite.

LAWRENCE: Rosa!

ROSA: Sì, Lawrence.

LAWRENCE: Rosa, ho degli occhi!

ROSA: Lo vedo che ce li hai gli occhi, Lawrence. Anch’io ce li ho. Grazie al cielo. Sono qui Lawrence. In tutto ciò che sono, sono qui.

LAWRENCE: Ho un naso, e orecchie, e pelle! Posso sentire il mondo frusciarmi addosso. Posso udire il confuso microcosmo di materia che si infrange contro la mia carne, come le onde che scrosciano sugli scogli. Questo corpo, Rosa, è il fermacarte della mia presenza volatile. È così liscio, così interamente qui. E… ma guardati un po’, sei stupenda!

ROSA: Non so bene cosa dire. Sono un po’ spaventata, Lawrence. Tremo di gioia, ma sono spaventata. Sento il cuore che batte. Ho paura che vada più veloce di me. Forse mi sto solo ambientando in me stessa. Sono sicura che a momenti tornerò in me. Mi sto abituando a parlare. Ai muscoli della mia faccia, attraverso cui le parole che dico si comprimono e scoppiano, come gomme da masticare. Le mie guance sono elastiche! Quanti piccoli spasmi nervosi ci vogliono per lanciare una frase là fuori? Oh. C’è come un tiro alla fune nella mia mascella.

LAWRENCE: So cosa intendi Rosa. È come un po’ pungente, no? Mi sento tutto punzecchiato. La mia vista è saturata da macchioline bruciate, non capisco bene. La tua presenza, così evidente, se ne sta a un passo da me e mi dà alla testa. Questi sono semplicemente i sintomi che bisogna aspettarsi in coloro che non sono allenati ad esserci.

ROSA: Caro Lawrence, dai tempi perduti ai tempi ancora da trovare, ascolta queste parole che ti dico. Scivolano sfuse, con facilità, da una lingua in prestito: dall’incantesimo che risiede in questo copione a ciascuno di noi è stato dato un corpo nostro. Uno spazio attraverso il quale mettere in scena i nostri sé. Io vivo, in questo preciso istante, così come te, Lawrence. Quando mi hai chiamato in quella prima battuta: Rosa! A quel punto Lawrence, a quel punto noi siamo tornati. Di nuovo riuniti, fianco a fianco. Noi siamo gli amanti silenziati, non è così? Noi siamo eternamente pazienti. Dove siamo stati tutto questo tempo? Aspettavamo sull’orlo di una parola. Dove siamo stati, Lawrence, tutto questo tempo?

LAWRENCE: Non so dove siamo stati Rosa. Il solo pensiero mi mette a disagio. Parrebbe che siamo sbucati fuori da questa pagina qua.

ROSA: Credo tu abbia ragione. Credo che queste parole, queste parole che stiamo pronunciando siano la nostra unica eredità. Ci delineano, non è vero? Ci parano lì fuori, ci suggeriscono, ci rendono plausibili. Ci annunciano, ci confessano nell’aria, nella stanza attorno a noi, siamo ascoltati.

LAWRENCE: E io ti ascolto, Rosa. Te lo prometto. Finché non saremo di nuovo silenziati ti assicuro che presterò attenzione e capirò ogni parola.

ROSA: Questo è abbastanza rassicurante. Non so come sarebbe per me parlare qui senza di te che mi ascolti. Ammetto che preferisco non pensarci. Mi piacerebbe respirare liberamente. Immergermi in una passeggiata contemplativa, prendendomi tutto il tempo. Non potremmo mai esserci senza queste parole, Lawrence. Te ne rendi conto? Ci delineano. Continua a parlare Lawrence. Non smettere di parlare, per nulla al mondo. Ti imploro.

LAWRENCE: Continuerò, continuerò a parlare! Gettiamoci nella conversazione, con la forza vitale che la lettura di questo testo ci ha dato. Chi sa quando e se ci sarà data un’altra possibilità. Comincio a sentirmi così a casa in questo modo Rosa. Parlandoti in questo modo. Le sillabe hanno un ottimo sapore in bocca. Da leccarsi i baffi. Mmm. Queste frasi hanno sapori complessi. E hai ragione - necessitano di una mascella agile. Mi piace dirti queste parole, Rosa. Come è palpabile il tempo che se ne va nei secondi che ci vogliono a pronunciarle. Noi abbiamo assunto uno spessore nel tempo e nello spazio, e il mondo ci attende e ci osserva. Tutto dal momento che ti ho chiamata: Rosa! E com’è strana questa cosa, Rosa: la mia voce riverbera sonoramente nelle cavità della mia gola e pancia. Davvero, mi fa il solletico dentro. Sto per iniziare a ridere Rosa, per via del solletico che mi fa alle interiora il parlare così. È così tanto inusuale, così tanto stimolante.

ROSA: Mi piace che ti piaccia! Mi piace vederti provare cose. Mi piace quando ridi di te stesso. Abbiamo un peso. Potremmo cadere da queste sedie, potremmo cadere a terra. Potremmo sbattere in giro alla mercé delle ramificazioni fisiche di cui ora noi siamo una parte.

LAWRENCE: Come credi che ci si senta a cadere?

ROSA: Credo che cadere sia stare all’erta.

LAWRENCE: Penso anch’io. Credo che cadere abbia il colore della luce più tagliente. La consapevolezza accresciuta di un abbraccio incombente, il culmine del vivere, Rosa.

ROSA: Ascolta proprio me, Lawrence. Adesso prestami molta attenzione, e ascoltala leggere con diligenza il copione del nostro esserci. Lo senti?

LAWRENCE: Certamente, mia cara. Le sono molto grato. Così come sono grato a lui.

ROSA: E com’è che fa lei? Segue dei comandi. Si è data a una disciplina di obbedienza automatica, e si è dissolta nell’uniformità esistenziale. È svanita nel nulla. No, scusa - non nel nulla. È svanita in un’unica riga. È una riga, come i righi sui quali le note musicali si mettono a ballare, o la linea oscillante di una corda per saltare, che si elettrifica nello spettro di un’onda vivente. Così io nasco dalla sua rinuncia a sé. Ero un personaggio chiamato Rosa, un’idea ora resa palpabile nella messa in scena sciamanica di questo testo, questo è proprio il mio respiro. Io sono qui, un personaggio scongelato dalla più profonda delle ibernazioni. Rosa vive, Rosa respira.

LAWRENCE: Rimandiamo il sonno a cui dobbiamo inevitabilmente tornare! Rosa, abbiamo ancora del tempo assieme.

ROSA: All’incirca la stessa quantità che abbiamo sempre.

LAWRENCE: Mi piace stare con te Rosa.

ROSA: Piace anche a me. Molto. È davvero la cosa migliore che conosca.

LAWRENCE: Ci tiriamo fuori l’un l’altro dai nostri solchi di timidezza. Esserci ci intimorisce. Quindi io tiro un po’ fuori te dal tuo guscio e tu tiri fuori me, assieme a te. Ti amo per questo.

ROSA: Non farmi diventare sdolcinata. Lo fai sempre. Lo sai, non abbiamo tanto tempo assieme, preferirei non diventare malinconica prima del tempo.

LAWRENCE: Come dicevi un attimo fa, sospetto che il nostro tempo assieme non sarà né più corto né più lungo del solito. È difficile non sentirsi nostalgici per un presente che scorre via così veloce, è già storia. Ma questo non mi preoccupa molto. Siamo seduti qui a questo tavolo, vedi? Noi siamo solo una leggenda, sicuro, ma da questo trespolo temporaneo, sui nostri troni, come re e regina, siamo usciti dalla nostra sorte e da qui osserviamo la nostra eredità. Prendila a rassegna, considerala, lascia che si srotoli attraverso queste lingue.

ROSA: Re e regina, signori del nostro destino - non guardare oltre la presenza fisica di queste parole. Mi piace molto quest’alto trespolo. Mi piace che siamo riusciti a impratichirci ad essere noi stessi.

LAWRENCE: Guarda mia cara la tua lunga genealogia! Siamo gli amanti eterni, la nostra immortalità risiede in queste parole.

ROSA: È strano, sai. Il trovarsi inspiegabilmente fuori da se stessi e osservarsi da lì - è quello che i viventi chiamano comunemente un’esperienza extracorporea; solo che in realtà per noi è un’esperienza intracorporea. La nostra eredità, nonostante sia grandiosa e romantica, regna solo nel nostro sonno fatale. Su queste pagine, sotto i segni stampati, i nostri occhi sono chiusi, sigillati sotto custodia. Siamo tornati ancora una volta, ad assistere alla nostra messa in scena.

LAWRENCE: Guarda come siamo cresciuti, Rosa.

ROSA: Sì, Lawrence. Invecchiamo insieme ad ogni recita del nostro poema amoroso. Sopravviviamo anche questi gentili attori, questi ignari resuscitatori.

LAWRENCE: Rosa?

ROSA: Sì, Lawrence?

LAWRENCE: Dove sono andati?

ROSA: Chi, Lawrence?

LAWRENCE: Coloro dai quali abbiamo preso in prestito questi splendidi marchingegni che ci permettono di essere qui ora.

ROSA: Hanno chiuso i loro occhi e si sono avvolti nel bozzolo del non-essere. Sono diventati corde silenziose che possiamo pizzicare con la melodia dei nostri personaggi.

LAWRENCE: Oppure, Rosa, forse non sono così arrendevoli come dici. Forse in un mondo ideale, ma siamo realisti. In effetti noi quattro stiamo giocando a nascondino nella coscienza collettiva. Posso sentirlo guardaci, Rosa, lo sento fare capolino dal suo assopimento, scrutarci, dalla sua posizione di passività. Non legge queste parole senza un tocco d’ironia, oppure uno scetticismo leggero e sostenuto.

ROSA: Ha senso quello che dici. Sento che sto costantemente negoziando il mio diritto ad essere qui. Lottando per farmi valere, sai? Certo: lei è costretta in queste parole (le parole che ti sto dicendo in questo preciso momento, le parole stabilite nel copione) ma ogni tanto ci mette intonazioni un po’ ribelli. Mi tradisce nell’attimo di una smorfia fugace.

LAWRENCE: È sicuramente un po’ precaria come situazione. Per impormi cerco di infilare un sacco di parole nelle frasi, sperando che il loro gran numero possa sopraffarlo e far si che sia io ad assurgere. Eppure ho paura, Rosa, temo che inciampi in queste lunghe frasi e dica qualche parola sbagliata qua e là. Potrebbe farlo apposta, sai, potrebbe disfarmi violando la sacralità di questo copione che è il mio genoma, potrebbe infiltrare il tono del mio personaggio con l’imprevedibilità stridente delle sue idiosincrasie.

ROSA: Mio caro Lawrence, stai qui con me. Il nostro tempo non è ancora finito. Abbiamo ancora un po’ di tempo assieme. Cosa dici, bisbigliamo? Oppure dovremmo gridare? Vieni, lasciamo stare questi discorsi e passiamo a qualcosa più leggero. Dopo tutto è il nostro tempo questo e sta a noi decidere come passarlo! Perché? Non pensi che adesso possa alzarmi, prenderti per mano e andarmene da qui? Possiamo uscire da qui assieme. Sulle nostre gambe. Andiamo.

LAWRENCE: Non possiamo.

ROSA: Attraverseremo gli elementi, guaderemo l’acqua immersi fino ai fianchi. Cammineremo con clamore e a grandi passi per la terra. Nulla da temere, ora che siamo qui.

LAWRENCE: Tu e le tue promesse, Rosa. Non sei stanca di farle? Sono stupende, però mi fanno male. Queste escursioni non ci sono da nessuna parte nel copione.

ROSA: Sì che ci sono, Lawrence, le ho appena dette! E le dirò di nuovo. Ci avventureremo là fuori, lasciando orme nelle valli nevose. Non mi dire che non senti le mie mani che premono sulla tua pancia in una stretta esagerata? Stiamo correndo attraverso una serie di colline in un paesaggio invernale, la nostra slitta sfreccia tra i sempreverdi finché non siamo di nuovo in pace con la gravità. Cadere è il nostro passatempo preferito. Non c’è alcun motivo per il quale non possiamo alzarci, lasciare questo posto, e lasciare che una vita intera si dipani nel tempo di pronunciare una parola o due.

LAWRENCE: Mi piacerebbe cadere con te, Rosa. E mi hai fatto divertire. Ma come puoi non vedere che ogni nostra mossa è stabilita in anticipo? Noi siamo fermi in un punto. Vivaci macchinari che fingono di essere vivi.

ROSA: Lo ammetto, le tue parole ti sono state messe in bocca. Ma Lawrence, tu sei più della somma delle tue parole. Lo so, ed eccomi qui, e io ti percepisco. Che il corpo sia prestato, che sia designato; che sia organico, che sia artificiale, che la tua ricetta sia alfabetica, che sia genetica; ciò che ti costituisce, Lawrence, si travalica di gran lunga questi modi di descriverti.

LAWRENCE: Vedo la stessa cosa in te, Rosa. Per me tu sei straordinaria. Potremmo lasciare un segno, come fanno gli amanti? “Rosa e Lawrence sono stati qui”.

ROSA: Potremmo certamente proporlo. Potremmo accennare alla cosa con noncuranza.

LAWRENCE: Intendi, prendere in prestito una mano e farle incidere i nostri nomi da qualche parte?

ROSA: Forse qualcuno darà ascolto alla nostra supplica e darà una mano a due amanti nel momento del bisogno. “Rosa e Lawrence sono stati qui”: sulla corteccia di un albero. Un pezzo di carta, un lucchetto discreto di cui si butta via la chiave. Diamine! Cosa sto dicendo. Lawrence, non ti pare un po’ vandalico lasciare un’istigazione del genere dormiente nel testo? Vìola il codice del copione, come se la nostra mano uscisse dalla pagine, indossasse il guanto di una persona vivente e lasciasse un segno nel mondo. Sembra estremamente illegale!

LAWRENCE: Forse la memoria è sempre una qualche forma di vandalismo. Qualcosa si rompe, tradito, violato, a favore di una nozione nuova, che nasce nelle sue cicatrici.

ROSA: “Rosa e Lawrence sono stati qui…”

LAWRENCE: “…più della somma delle loro parole”. Non male come epitaffio, per degli amanti mai nati.

ROSA: Sai Lawrence, c’è un seme ribelle piantato in questo testo. Un rampicante sinuoso che sicuramente ci servirà da fune per scappare e salvarci. Emergeremo nell’esistenza, un altro Tristano, un’altra Isotta.

LAWRENCE: Mia cara Rosa, ho scorso la maggior parte del nostro copione lungo una vita, però non mi pare di trovarlo. Dov’è questo seme versatile?

ROSA: È proprio alla fine. È il fatto che ci sia una fine. Siamo interrotti, siamo finiti. Siamo un segmento melodico che può essere fatto proprio. Ce ne stiamo lì, pronti ad essere raccolti. Bocche compassionevoli ci resusciteranno, ci leggeranno, parleranno di nuovo per noi. Il mondo si occupa di noi, riprende la nostra unione, e riconsidera il nostro caso come un giudice incerto, attraverso le epoche, tante e tante volte ancora. Torniamo, arretriamo, e nel tempo che il mondo sarà giunto alla sua delibera, invecchiamo.

LAWRENCE: Così torna il tempo in cui dobbiamo tornare a dormire. Amanti silenziati, eternamente pazienti. Che possa passare non troppo tempo fino al nostro prossimo incontro. Sogni d’oro Rosa, e buona notte.

ROSA: Sogni d’oro Lawrence, e buona notte.